"è un ammissione amara ma ne colgo l'ironia non vorrei altra guerra che la mia, non vorrei altra vita che la mia!"



(J-Ax- Altra vita)

Oggi, ho dato il mio ultimo esame della triennale: Diritto Pubblico l'esame, l'inferno per me. E mi sono divertita, certo sono morta dalla paura, ma quanto mi sono divertita.
Che è un periodo felice, non perché stiano capitando grandi cose, ma solo perché tutto di un colpo mi sono svegliata e tutta la vita, quella che stavo lasciando accantonata in un angolo mi è saltata addosso, mi ha avvolta, mi ha temprata. Così mi ritrovo a ridere con un assistente del professore che mi fa domande alle quali so rispondere bene o male, più male che bene in verità.
Mi ritrovo al bar a sorridere con l'anziano barista che visto che sono tanto "gentile e bella" di bicchieri di acqua gratis me ne da due. Incontro per strada il mio compagno di corso, un po scemo ma tanto buono, che l'esame a differenza mia non l'ha superato e gli do il mio libro di diritto per prepararsi al prossimo appello. E rido di nuovo, assieme a lui, che non so se sia più felice per il libro in prestito o perché qualcuno di noi si stia in qualche modo prendendo cura di lui che è sempre stato bistrattato e maltrattato nel nostro corso.
è un periodo che rido molto e sorrido di più, e lo faccio per me: e lo faccio con il cuore, i polmoni, le labbra, gli occhi, la pancia, il petto, le guance.
Poi rido, rido a crepapelle, rido per cose che davvero mi fanno ridere, rido perché ridere fa bene tanto, soprattutto dopo che si è stati troppo male.
Sorrido perché è bello farlo, perché quando lo faccio davvero divento bella, mi sento bella.
Rido e sorrido perché c'è anche questo nella vita, oltre alla tristezza, oltre all'abbandono, oltre all'amore.
Che il consiglio più grande che mi ha dato mia madre nella vita, quello per cui non potrò mai smettere di ringraziarla è:"Amore mio, la vita va goduta. La vita è godere, e non puoi e non devi privartene mai!".
Così ecco, che tutto è tornato: i sapori, gli odori, la voglia di mangiare, l'idea che un futuro come voglio ci possa essere.
 Che godersi la vita vuol dire possederla pienamente, nella sua totalità, cose belle e cose brutte. Che è tutta una questione riguardo a cosa si da più importanza e forse il vero trucco è dare importanza a tutto in uguale misura: alla gioia e al dolore, alla sofferenza e alla felicità, scegliendo sempre però di farsi sedurre da tutte quelle cose buone che ci fanno stare bene. Che arrendersi alla tristezza è facile, che il mondo è un po una merda e spesso le persone lo sono ancora di più. Però, di cose buone e belle ci sono sempre, anche se piccole, anche se rare. è tutta una questione di attenzione, di abitudine nel guardare il mondo e nel guardarsi.
C'è sempre stata una frase che ho amato, pronunciata in Grey's Anatomy che insomma con la felicità fa un po a botte:"Ogni volta che rido, io mi giro a cercarti!". Ah, romantica, struggente, bella. E sapete mi è capitato, non una ma ben due volte fin ora (e chissà quante altre volte capiterà di nuovo). Di essere di fronte a qualcosa che mi faceva ridere e pensare "se la sentisse lui, riderebbe e a me il mondo mi si aprirebbe!" "ah se mi vedesse ora, mentre rido e in tutto questo in realtà rido perché questa cosa farebbe sorridere anche lui, lo divertirebbe!". E non c'è nulla di sbagliato in ciò, se non fosse che non si può ridere solo per gli altri e io lo stavo facendo. Ridevo per non mostrarmi debole, ridevo per sembrare felice, ridevo per essere più interessante ai suoi occhi che manco mi guardavano più.
Insomma, ci sono queste foto recenti, dove esplodo di... vorrei dire felicità, ma la verità è che esplodo di vita. Foto dove mi sono accorta di esistere e si vede.
Esistere, esistere davvero, esistere perché ci penso a lui, a noi e a tutto quello che potevamo essere e non siamo stati, ma raramente.
Esisto perché quando rido lo faccio per me, perché sono divertita io, perché me la sto godendo.
Penso più a me, condivido la mia vita solo con chi davvero voglio. Che una volta c'erano cose che sentivo l'esigenza di condividere con lui, con lui che non mi parlava, che mi odiava. Così, non potendolo fare mi ritrovavo a raccontare ciò che volevo raccontare solo a lui, ad altri, nella disperata ricerca di un amore che non avrei mai trovato in chi non amavo. Ho smesso, ora pezzi della mia vita gli regalo solo a chi per me conta.
Così, fra un gli scrivo o no, forse appaio pesante, oggi che ho passato l'esame l'ho scritto al mio nuovo amico, e a quella che per me è mia sorella, e alla mia amica con la quale ho iniziato questo percorso e l'ho attraversato fin dove sono arrivata ora. Così oggi, sono felice con le persone che dico io, che significano qualcosa per me e non per lui, a prescindere da lui.
E allora, questa è godersela la vita: lasciare spazio a chi vogliamo davvero dare un posto. Che sapete, mi sono ritrovata davanti a tutte le cose belle e buone che non vedevo. Che non consideravo perché accecata da altro: dalle mie paure, da tutto quello che non ho mai ricevuto e avuto, da quell'idea soffocante di tutto ciò che stava scegliendo di non darmi.
E ora, ora che davvero mi accorgo di respirare, vedo lui anche più chiaramente, forse perché lontani da noi, emotivamente murati nelle nostre trincee di quella che ormai non è manco più una guerra ma solo vita e tempo che ci ha diviso, che ha diviso un amore che è stato solo per metà.
Che, poi, c'è questa condanna delle persone come me, che quando hanno amato o voluto bene lo hanno fatto davvero, giocandosi tutto, giocandosi anche troppo. Quindi i miei occhi, quando lui è nelle vicinanze non riescono a non cedere alla tentazione di guardarlo. Che è la mia calamita quando io son di ferro, il mio polo nord quando io sono il sud, l'amore che volevo e che non ho avuto ora che ero pronta a prendermelo, non lui ma l'amore.
Ma adesso, lo vedo più chiaramente, e non dico di non provare più nulla, non dico che se sorride io un battito non lo perdo, e che quando prova a farmi del male non ci riesca benissimo. Solo che ora riesco a vedere anche tutte le cose che non vanno, che non vanno bene per me, che non fanno bene a me e che quindi non posso tollerare. Quel suo volermi fare male, anche quando ormai non c'è più niente di noi da salvare o da distruggere se non solo me, quel suo essere non trasparente, quel suo modo che mi ha tolto il fiato e alla fine anche la speranza, il suo volermi costantemente punire per una colpa ormai passata e manco poi così grave, quel suo essere spavaldo e arrogante, quel suo non ammettere che di male me ne ha fatto parecchio, quel suo voler sempre umiliare per sentirsi amato.
Vedo tutto, ma è diversa l'importanza che gli conferisco. Che a un certo punto una persona smette anche di aspettare il perdono di qualcuno che non vuole darglielo, che alla fine anche se tornasse non so per quanto potrei amare tutto ciò senza smettere di amare me. Che alla fine, non si deve permettere a nessuno di farci del male intenzionalmente, neanche a chi amiamo, neanche quando ci sentiamo amati.
Che alla fine, io ci sono riuscita a imparare a perdonarmi. A perdonare me stessa.
Che alla fine, per quanto possa esserne innamorata, amo prima me stessa. Che "sorridere al proprio assassino", è firmare il proprio suicidio, è essere vittime di noi stessi, è tradirsi.
Così capita che ci ritroviamo anche negli stessi luoghi, e che i miei occhi lo cerchino di meno e si guardino più intorno. Perché la speranza di amare e di essere amati, di perdonare ed essere perdonati, di fare cose buone e non essere considerati pazzi o scemi, è sacra.
E il mondo è pieno di persone così: di persone che follemente mi assomiglino, di persone che potrei amare, di persone che invece che farmi piangere preferiscono farmi ridere.
E ora, solo ora, le guardo, le osservo, le cerco e quando son fortunata le trovo. E da lontano, anche le cose bellissime che mi hanno fatto male, riescono a scavarmi meno dentro.
Che questa Estate una nostra amica, più mia che sua, alla domanda : "come stai?" e alla mia risposta "non lo so, così così! A volte triste, più male che bene", mi scrisse "si, ma sei viva, il tuo cuore batte e se batte vuol dire che la felicità arriverà! Era da tempo che volevo dirtelo!". A prescindere, da lui o da qualcun altro, una felicità che dipendeva da me e dal mio essere in vita. Da quella voglia infrenabile che mi spinge sempre a scegliere fra l'essere e l'apparire, l'essere. Essere me, con le mie facce strane, il mio sarcasmo devastante, il mio sangue, la famiglia che ho, il passato che ho vissuto, i sogni che ho fatto, il lavoro che mi son scelta, i baci che ho dato, le lacrime versate, i mal di stomaco che diventavano mal di amore e alla fine di anima.
E così, mentre dico "Penso davvero che la mia vita non sia per forza dove abito,  legata a un posto, ma dove sono io con me stessa ", mi sento rispondere da una donna tanto paziente quanto gentile "la tua vita è dove tu sei più felice!".
Ecco, quello è il posto da chiamare casa: la felicità!

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4 commenti

  1. Accorgersi di esistere è meraviglioso. Ogni tanto ce lo si dimentica, e va bene così. Serve solo per farci rinascere. Ti stringo!

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    1. E io mi lascio stringere, i tuoi commenti sono fra le cose che mi mancano di più quando non scrivo. Un abbraccio

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  2. Queste parole sono un esplosivo di gioia e di vita, davvero! Dovremmo avere tutti più consapevolezza di noi stessi. Ah, e complimenti per il tuo ultimo esame della triennale :-) un saluto

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